Ricorso per la Regione Calabria (C.F.  02205340793),  in  persona
del presidente f.f. della Giunta regionale  dott.  Antonino  Spirli',
rappresentata e difesa, giusta delibera G.R.  n.  8  del  28  gennaio
2021, e correlato decreto dirigenziale di incarico, nonche' in virtu'
di procura speciale in calce al  presente  atto,  dall'avv.  Giuseppe
Naimo  (C.F.  NMAGPP65A05D976H)  dell'Avvocatura   regionale   (Posta
elettronica  certificata:  avvocato8.cz@pec.regione.calabria.it),  ed
elettivamente domiciliata in Roma, via  Sabotino  n.  12,  presso  lo
studio dell'avv. Graziano Pungi', fax 0961/853581, indirizzi di posta
elettronica  e  fax  ai  quali  intende  ricevere   comunicazioni   e
notificazioni del presente giudizio; 
    Contro  la  Presidenza   del   Consiglio   dei   ministri   (c.f.
80188230587), in persona del Presidente pro-tempore, domiciliato  per
la carica in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna  n.  370,  domicilio
digitale attigiudiziaripcm@pec.governo.it 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 1, 2, 3, 6 e 7 del decreto-legge 10 novembre 2020,  n.  150,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2020, n.  181,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  323  del  31  dicembre  2020,
derivante dalla violazione degli articoli 136, 3, 5, 32, 81, 97, 117,
118, 119, 120 e 121 della  Costituzione,  nonche'  degli  articoli  8
della legge n. 131/2003, 2, comma 78, della legge n. 191/2009, 1,  2,
3, 6, 8 e 9 del decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1, lettera
p), della  legge  n.  124/2015,  5-bis  del  decreto  legislativo  n.
502/1992 e del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. 
 
                                Fatto 
 
    Il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35,  pubblicato  in  Gazzetta
Ufficiale - Serie generale -  n.  101  del  2  maggio  2019,  recante
«Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria
e altre misure urgenti in materia  sanitaria.»,  ritenendo  di  dover
adottare misure  eccezionali,  volte  anche  alla  risoluzione  delle
riscontrate, gravi inadempienze amministrative e gestionali,  per  la
Regione Calabria, supportando l'azione commissariale  di  risanamento
del servizio sanitario regionale, ed accertati  il  mancato  rispetto
degli   obiettivi   economico-finanziari   previsti   dalla   cornice
programmata  nell'ambito  dei   programmi   operativi,   il   mancato
raggiungimento  del  punteggio  minimo  previsto  dalla  griglia  dei
livelli  essenziali  di  assistenza,  nonche'  rilevanti   criticita'
connesse alla gestione amministrativa,  piu'  volte  riscontrati,  da
ultimo, dai Tavoli di  verifica  degli  adempimenti  e  dal  Comitato
permanente per la verifica dei  LEA  nella  seduta  congiunta  del  4
aprile 2019, al  Capo  I,  rubricato  «Disposizioni  urgenti  per  il
servizio sanitario della Regione Calabria» (articoli 1-10)  conteneva
- tra gli altri  -  l'art.  1  «Ambito  di  applicazione»,  l'art.  2
«Verifica  straordinaria  sui  direttori  generali  degli  enti   del
Servizio sanitario  regionale»,  l'art.  3  «Commissari  straordinari
degli enti del Servizio sanitario  regionale»,  l'art.  4  «Direttori
amministrativi e direttori sanitari degli enti del Servizio sanitario
regionale», l'art. 5 «Dissesto finanziario degli  enti  del  Servizio
sanitario regionale», l'art. 6 «Appalti, servizi e forniture per  gli
enti  del  Servizio  sanitario  della  Regione  Calabria»,  l'art.  8
«Supporto dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali»  e
l'art. 9 «Ulteriori disposizioni in tema di collaborazione e supporto
ai Commissari»; al Capo  III,  rubricato  «Disposizioni  finanziarie,
transitorie e finali» (articoli 14-16), contiene - tra  gli  altri  -
l'art.  14  «Disposizioni  finanziarie»  e  l'art.  15  «Disposizioni
transitorie e finali», articoli tutti oggetto di impugnativi da parte
della regione qui  ricorrente;  tale  decreto  e'  stato  oggetto  di
conversione con la legge n. 60/2019, pubblicato in Gazzetta Ufficiale
- Serie generale - n. 152 del 1° luglio 2019, anch'essa impugnata;  i
distinti ricorsi della Regione Calabria sono stati riuniti e respinti
da codesta Corte con la sentenza n. 233/2019. 
    Scaduto il termine di diciotto mesi di vigenza  di  dette  norme,
dopo soli sette giorni il Governo  ha  assunto  il  decreto-legge  10
novembre 2020, n. 150, pubblicato in  Gazzetta  Ufficiale  n.  280  -
Serie generale - del 10 novembre 2020, recante  «Misure  emergenziali
per il servizio sanitario della Regione Calabria  e  per  il  rinnovo
degli organi elettivi delle regioni  a  statuto  ordinario»,  con  il
quale,  ancora  una  volta,  ritenendo  di  dover   adottare   misure
eccezionali, tenuto conto che l'Organizzazione mondiale della sanita'
ha dichiarato  la  pandemia  da  COVID-19,  anche  in  ragione  della
situazione  emergenziale  in  corso,  di  prevedere  per  la  Regione
Calabria, misure eccezionali per garantire il  rispetto  dei  livelli
essenziali di assistenza (LEA) in ambito sanitario, di  cui  all'art.
117, secondo comma, lettera m), della  Costituzione,  nonche'  (sic!)
per assicurare il fondamentale  diritto  alla  salute  attraverso  il
raggiungimento degli obiettivi previsti nei  programmi  operativi  di
prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi sanitari;  verificato
il reiterato mancato raggiungimento  del  punteggio  minimo  previsto
dalla griglia dei livelli essenziali  di  assistenza  (LEA)  e  degli
obiettivi economico-finanziari  previsti  dalla  cornice  programmata
nell'ambito  dei  programmi  operativi;  ritenuta  la   indifferibile
necessita' di intervenire per  introdurre  misure  straordinarie  per
superare  le   gravi   inadempienze   amministrative   e   gestionali
riscontrate nella Regione Calabria, al Capo I, rubricato anche questa
volta «Disposizioni urgenti per il servizio sanitario  della  Regione
Calabria» (articoli  1-7)  contiene  -  tra  gli  altri  -  l'art.  1
«Commissario ad acta e supporto alla struttura commissariale», l'art.
2  «Commissari  straordinari  degli  enti  del   Servizio   sanitario
regionale», l'art. 3 «Appalti, servizi e forniture per gli  enti  del
Servizio sanitario della Regione Calabria», l'art. 6  «Contributo  di
solidarieta'  e  finanziamento  del  sistema  di   programmazione   e
controllo del Servizio sanitario della Regione Calabria» e  l'art.  7
«Disposizioni transitorie e finali», articoli quelli indicati oggetto
di impugnativa da parte della Regione Calabria col  ricorso  iscritto
al n. 105/2020 R.R. 
    Il decreto-legge e' stato convertito,  con  modificazioni  -  con
modifiche quasi tutte marginali o ultronee, per quel che riguarda  le
norme gia' impugnate dalla regione - con la legge 30  dicembre  2020,
n. 181, e la regione intende proporre impugnativa  anche  avverso  le
norme del decreto-legge per come convertite. 
    Cosi' esposte la cronologia dei fatti e le norme che si intendono
impugnare, questa difesa intende ricorrere, come in  effetti  con  il
presente atto ricorre, a codesta Corte costituzionale, ex  art.  127,
comma 2, della Costituzione, atteso che le suddette norme  presentano
profili di lesivita'  in  pregiudizio  della  sfera  di  attribuzioni
legislative    ed    amministrative    della     Regione     Calabria
costituzionalmente garantite, ed interviene in maniera  significativa
su materia di preminente interesse regionale, affidando il ricorso ai
seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) Premessa 
    Come gia' indicato  nella  narrazione  del  fatto,  le  modifiche
apportate in sede di conversione  alle  norma  impugnate  sono  quasi
esclusivamente marginali o ultronee, e quindi - in  applicazione  del
consolidato  orientamento  di  codesta  Corte  «ex  plurimis,   Corte
Costituzionale, sentenza n. 233/2019» - si ritiene che, per esse,  le
questioni di costituzionalita' gia' poste  col  ricorso  n.  105/2020
devono ritenersi trasferite sulle nuove norme nella parte in cui esse
modificano quelle originarie; in ogni caso, la regione - considerando
le peculiarita' del giudizio in via principale avanti codesta Corte -
intende comunque impugnare le norme convertite - sia per  manifestare
la  permanenza  del  proprio  interesse  all'impugnativa,   sia   per
veicolare  anche  nuove  e  diverse  censure  -  le  norme  per  come
convertite, nonche' - per la parte di interesse regionale - le  norme
introdotte in sede di conversione, mediante  modifiche  non  di  mero
dettaglio. 
2) Violazione art. 136 della Costituzione 
    Come esposto in narrativa, e come gia'  denunciato  in  relazione
alle norme impugnate  col  ricorso  n.  105/2020,  codesta  Corte  ha
respinto l'impugnativa  avverso  il  primo  «Decreto  Calabria»;  pur
respingendo il ricorso, al punto 6)  della  motivazione  ha  comunque
statuito che  «L'effettiva  rispondenza  delle  misure  adottate  dal
legislatore del  2019  allo  scopo  perseguito  di  "risanamento  del
servizio sanitario" e soprattutto di tutela del "rispetto dei livelli
essenziali di assistenza in ambito sanitario" nella Regione  Calabria
nonche' l'assenza di eventuali loro effetti  controproducenti  (quali
paventati in udienza dal difensore della ricorrente) dovranno  essere
attentamente monitorate da parte dello Stato, e valutate in concreto,
in sede applicativa delle misure stesse.», mentre al  punto  5.1  era
stato precisato  che  la  legittimita'  del  provvedimento  normativo
dipendeva dal fatto che le concorrenti competenze regionali  venivano
«solo temporaneamente  ed  eccezionalmente  "contratte",  in  ragione
della pregressa inerzia  regionale  o,  comunque,  del  non  adeguato
esercizio delle competenze stesse». 
    Lo Stato ha clamorosamente mancato sia nella attuazione che nella
valutazione della verifica «non si ripetera' quanto gia' scritto  nel
precedente ricorso sulla triste vicenda dell'individuazione del nuovo
Commissario», ma, ancora una volta, dopo  aver  fatto  trascorrere  i
diciotto mesi fissati dal decreto-legge n. 35/2019 causando ulteriori
danni al sistema sanitario  calabrese,  ha  utilizzato,  ammettendolo
apertis verbis, le proprie macroscopiche incapacita'  nella  gestione
commissariale, per come «potenziata» con l'intervento del  2019,  per
aggravare - anche in sede di conversione - ulteriormente detto regime
con le norme qui impugnate,  ampliando  addirittura,  senza  peraltro
alcuna reale  soluzione  di  continuita'  rispetto  al  provvedimento
cessato, il periodo di vigenza (ora,  «un  periodo  non  superiore  a
ventiquattro  mesi»  rispetto  ai  diciotto  mesi  gia'  imposti   in
precedenza) ed inasprendolo. 
    E' il caso di riprodurre «evitando di commentare il fatto che  la
difesa erariale si sia gia' appuntata sul testo del decreto-legge per
come convertito, vedi ad esempio pagine 15 e 18 memoria» alcuni passi
della memoria di costituzione della difesa erariale  nel  ricorso  n.
105/2020 R.R. «ricorso al quale si chiede la riunione»  per  la  loro
macroscopica incidenza sulle censure regionali: il primo, e' quello a
pagina 14 della memoria depositata il 6 febbraio 2021, ove  si  legge
che «non solo non risultavano  superate  le  criticita'  che  avevano
indotto  all'adozione  del  decreto-legge  n.  35/2019,  ma  che   la
situazione si era ulteriormente aggravata, imponendo, per  un  verso,
la protrazione del regime speciale in precedenza dettato, e,  per  un
altro, l'assunzione di ancor piu'  stringenti  misure»;  il  secondo,
invece, si legge alle pagine 20-21 del medesimo atto, ove  la  difesa
erariale ritiene che l'attento monitoraggio sulle  precedenti  misure
sia stato effettuato, con esito «non  positivo»  delle  verifiche  in
ordine a misure applicate dalla Stato ed ai loro effetti, ma malgrado
cio', con singolarissimo salto logico, conclude  per  la  sussistenza
delle condizioni per un nuovo intervento, ancor piu' stringente. 
    Ove si applicassero l'art. 116 del codice di procedura civile e/o
l'art. 64, comma 2, c.p.a., si dovrebbero  dare  per  processualmente
provati a) la congiunzione tra i due provvedimenti normativi,  quello
del 2019 ed il presente; b) l'ulteriore inasprimento delle misure qui
impugnate rispetto  al  «regime»  del  2019;  c)  il  fallimento  del
commissariamento statale, anche per come «implementato» nel 2019;  d)
il macroscopico errore statale nell'interpretare il  giudicato  della
sentenza n. 233/2019, sia sotto  il  profilo  di  individuazione  del
«limite» che ha condotto alla reiezione del  ricorso  nel  2019,  sia
nell'interpretare il monito rivolto da codesta  Corte  in  ordine  ai
provvedimenti da adottare in esito ad una valutazione negativa  degli
effetti del decreto-legge n. 35/2019. 
    Cio' detto, la normativa impugnata, che, come riconosciuto  dalla
stessa  difesa  erariale  nel   giudizio   avverso   le   norme   del
decreto-legge gia' impugnate,  ponendosi  in  piena  continuita'  con
l'intervento appena cessato, non solo reitera ma addirittura  aggrava
l'intervento stesso, rivelatosi, per ammissione  della  stessa  parte
statale, non  solo  infruttuoso  ma  addirittura  peggiorativo  della
situazione  del  maggio  2019,   viola   apertamente   i   limiti   -
evidentemente non colti  dallo  Stato  -  alla  temporaneita'  ed  ai
presupposti legittimanti dell'intervento, nonche' al naturale  sbocco
ove  le  verifiche  sugli  effetti  (sia  consentito,   motivatamente
previsti in udienza dalla difesa regionale, tanto da spingere codesta
Corte a sviluppare in sentenza  il  monito  poi  non  raccolto  dallo
Stato) del provvedimento normativo qui proseguito ed  aggravato,  che
codesta Corte aveva fissato  alla  legittimita'  dell'intervento,  al
quale le norme qui impugnate si  pongono  in  conclamata  ed  ammessa
continuita',  e  quindi  viola  il   giudicato   costituzionale,   in
conseguenza della violazione dell'art. 136 della Costituzione. 
3) Violazione articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione;  8  della
legge n. 131/2003; 2, comma 78, della legge n. 191/2009; 1, 2, 6 e  8
decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1, lettera p) della  legge
n. 124/2015 e del principio  di  leale  collaborazione  tra  Stato  e
regioni. 
    Gli articoli 1, 2,  3,  6  e  7,  dettati  solo  per  la  Regione
Calabria, operando modifiche unilaterali al Piano di  rientro  ed  al
mandato  Commissariale,  nonche'  alla  normativa  di  settore,  sono
invasive  della  competenza  concorrente   e   residuale   regionale,
contraggono  le  correlate  prerogative  in   termini   temporalmente
irragionevoli e non  piu'  eccezionali,  ma  ormai  sistematici,  ed,
inoltre, non sono assistite da intesa con la regione e/o in  sede  di
Conferenza Stato regioni, e determinano percio', per tutti  i  motivi
sopra elencati,  le  violazioni  denunciate,  anche  in  ordine  alla
mancanza  di  intesa  ed  al  principio  di   leale   collaborazione,
violazione quest'ultima, per  vero,  dimostrata  anche  da  specifica
modifica adottata in sede di conversione. 
    Come chiarito dalla sentenza n. 219/2013 di  codesta  Corte:  «Lo
Stato, optando per l'esercizio  del  potere  sostitutivo...si  assume
l'onere  del  processo  coartato   di   risanamento   delle   finanze
regionali»; come gia' sopra riportato al punto 2), codesta Corte, con
la sentenza n. 233/2020, ha ritenuto legittimo  il  decreto-legge  n.
35/2020 in quanto le prerogative regionali «non risultano violate  ma
solo temporaneamente ed eccezionalmente "contratte", in ragione della
pregressa inerzia regionale o, comunque, del non  adeguato  esercizio
delle competenze stesse». 
    E' stato platealmente ammesso in punto di fatto, gia' nel ricorso
n.  105/2020  che  a)  la  violazione/contrazione  delle   competenze
regionali  non  e'  piu'  «eccezionale  e  temporanea»,   ma,   senza
sostanziale soluzione di continuita' «un margine di sette giorni  non
poteva certo  considerarsi  cesura  temporalmente  significativa»  si
protrarra' anche per tre anni e mezzo (diciotto mesi il decreto-legge
n. 35/2020; sino  a  ventiquattro  mesi  il  decreto-legge  per  come
convertito qui impugnato);  b)  lo  Stato  ammette  le  macroscopiche
inadempienze dei Commissari statali, anche - anzi  soprattutto  -  in
relazione al periodo di vigenza del  decreto-legge  n.  35/2019,  per
prorogare,   ed   anzi   inasprire   ulteriormente,   lo   stato   di
espropriazione/compressione  delle  competenze  regionali,   che   ha
oggettivamente danneggiato e danneggia sempre piu' la regione nonche'
i cittadini in essa residenti, i quali hanno  visto  progressivamente
peggiorare - per asserzione dello stesso  Stato,  che  su  tale  dato
fonda  il  paradossale  intervento  normativo  qui  censurato  -   la
situazione  di  assistenza  alla  cittadinanza,   proprio   a   causa
dell'intervento statale. 
    Pare qui indispensabile una disamina  dello  stato  del  «pianeta
salute»   in   Calabria   in   esito   al   commissariamento,    pure
sostanzialmente ammesso dalla difesa erariale alle pagine 2-19  della
memoria depositata nel ricorso  n.  105/2020,  che  coincide  con  la
disamina fatta dalla magistratura contabile in sede di  parifica  del
bilancio regionale 2020: in oltre dieci anni di commissariamento,  il
saldo  finale  tra  mobilita'  attiva  e  passiva  in   Calabria   e'
esponenzialmente  peggiorato  (vedi  tabelle  riportata  alle  pagine
389-390 della bozza di relazione parifica,  allegate  al  ricorso  n.
105/2020) proprio durante il commissariamento, e si e'  ulteriormente
aggravata durante il periodo di vigenza del decreto-legge n. 35/2019,
per ammissione della stessa parte statale; secondo la Corte dei conti
calabrese «Dal 2010  (inizio  del  commissariamento),  l'esito  delle
iniziative attuate per superare le numerose  criticita'  presenti  al
momento dell'entrata in vigore del Piano di rientro ha  disatteso  le
reali attese di cambiamento «pagina 407  bozza  relazione  parifica»;
l'obiettivo finale del Programma operativo  (2016/2018)  «uscire  dal
Piano di rientro» e le sue precondizioni «raggiungere il pareggio  di
bilancio entro il 2018», non e' stato raggiunto e  l'ultimo  anno  si
distingue  per  una  regressione   degli   indicatori   economici   e
assistenziali conseguiti in precedenza» «pagina 407  bozza  relazione
parifica»; senza aver completato il precedente  Programma  operativo,
ora ci si trova in vigenza «del Piano operativo 2019/2021,  approvato
con DCA n. 57 del 26 febbraio 2020», ossia  oltre  un  anno  dopo  il
preteso inizio di valenza del Programma stesso; l'acclarata  presenza
delle diverse fattispecie debitorie, oltre alle  gravi  irregolarita'
di cui alla deliberazione della Sezione  controllo  della  Corte  dei
conti n. 13/2019, mai sistemate contabilmente negli  anni  pregressi,
che avevano indotto la Commissione straordinaria dell'ASP di RC,  con
deliberazione n. 298 del 6 giugno 2019,  ai  sensi  dell'art.  5  del
decreto-legge n. 35/2019, a proporre il dissesto dell'Azienda, non e'
stata accolta dal precedente Commissario ad  acta,  con  motivazioni,
indicate nella nota prot. n. 170858 del 21 maggio 2020,  ossia  quasi
un anno dopo la richiesta; il costo sostenuto per l'acquisto dei beni
da parte delle Aziende del SSR e' passato  complessivamente  da  euro
351.599.120,80 nel 2018 ad euro 367.758.596,39  nel  2019,  ossia  in
vigenza del decreto-legge n. 35/2019, con un incremento  pari  al  5%
«p. 436 bozza relazione  parifica»;  nell'esercizio  2019,  ossia  in
vigenza del decreto-legge n. 35/2019, non  sono  stati  rispettati  i
tetti di spesa per dispositivi medici  per  euro  12.238.674,00;  «il
Tavolo tecnico per la verifica degli  adempimenti  regionale  con  il
Comitato permanente per la verifica dei LEA, in data 25 maggio  2020,
ha rilevato la dimensione degli oneri  finanziari  in  peggioramento,
evidenziando la gravita' della situazione. Ha  pertanto  invitato  la
struttura  Commissariale  al  presidio   di   tali   iscrizioni   con
particolare riferimento agli oneri finanziari  per  anticipazioni  di
cassa che rappresentano il 77% del totale contabilizzato su tale voce
dall'intero SSN.» «pag. 460  bozza  relazione  parifica»;  sempre  ad
avviso della Corte dei conti della Calabria «si sono realizzate,  con
riferimento al risultato di gestione dell'anno  2019,  le  condizioni
per  l'applicazione  degli   automatismi   fiscali   previsti   dalla
legislazione  vigente,  vale  a  dire  l'ulteriore  incremento  delle
aliquote fiscali di Irap e addizionale regionale all'Irpef per l'anno
d'imposta in corso, rispettivamente  nelle  misure  di  0,15  e  0,30
punti, e per l'applicazione  del  divieto  di  effettuare  spese  non
obbligatorie da parte del bilancio  regionale  fino  al  31  dicembre
2021.» «pagina 467 bozza relazione parifica»; la Regione Calabria, o,
meglio, la gestione commissariale, al IV trimestre 2019  presenta  un
disavanzo sanitario di 116,721  milioni  di  euro;  il  sig.  giudice
relatore al giudizio di parifica ha in sintesi  rilevato  che  «dieci
anni dopo, ossia a fine 2019, il disavanzo  sanitario  e'  passato  a
euro 225,418 milioni di euro. Dopo il  conferimento  delle  coperture
derivanti  dal  gettito  delle  aliquote  fiscali   massimizzate   il
risultato di gestione evidenzia un disavanzo di  118,796  milioni  di
euro (fonte: verbale del Tavolo tecnico e del Comitato per la  tutela
dei LEA dell'8 e 9 novembre 2020 - dati trasmessi  con  nota  Regione
Calabria, dipartimento tutela della salute, servizi sociali  e  socio
sanitari, prot. n. 3933804 del 30 novembre 2020)...In  altre  parole,
gli abitanti  della  Calabria  stanno  da  dieci  anni  colmando  una
voragine finanziaria che cresce e si alimenta  di  anno  in  anno.  A
fronte di questi "sacrifici finanziari",  i  medesimi  cittadini  non
godono pero' di servizi  sanitari  adeguati.»;  infine  -  a  diretta
smentita di  uno  dei  presupposti  dell'adozione  del  provvedimento
normativo impugnato - dal verbale del Tavolo tecnico e  del  Comitato
per la verifica del LEA del 25 maggio  2020  emerge  che  la  Regione
Calabria ha superato la verifica dei LEA per gli esercizi 2015,  2016
e 2017, mentre, quanto all'anno 2018, a  luglio  2020,  quindi  molto
prima  che  venisse  adottato  e  poi  convertito  il   provvedimento
impugnato,  il  Ministero  della  salute  «si  veda  stralcio   della
relazione gia' allegata al  ricorso  n.  105/2020»  attribuisce  alla
Calabria un punteggio pari a 162, positivo ed in miglioramento. 
    Cio' necessariamente premesso, vanno esaminate  distintamente  le
censure qui mosse alla normativa impugnata: l'art. 1 «e' il  caso  di
precisare che non vengono impugnati ne'  il  comma  4,  ne'  i  commi
4-bis, ter e quater introdotti in sede di conversione»  nel  ribadire
ed  ampliare  i  poteri  commissariali,  impone   alla   regione   un
contingente minimo di «personale» da  mettere  a  disposizione  della
struttura commissariale, senza  neanche  indicare  le  finalita'  del
decreto-legge medesimo, pur precisando che il  Commissario  «assicura
l'attuazione delle misure di cui al presente capo», e  prevede  -  in
esito a modifica in sede di conversione - che i Subcommissari possano
essere «non piu' di tre»; l'art. 2 prevede, come gia'  l'art.  3  del
decreto-legge n. 35/2019, la nomina  di  Commissari  straordinari  da
parte del Commissario ad acta o, in caso di  mancata  intesa  con  la
regione, da parte del Ministro della salute; l'art. 3, comma  1,  del
decreto-legge, come gia', in parte, la prima formulazione dell'art. 6
del decreto-legge n. 35/2019, consente al Commissario  di  provvedere
in   via    esclusiva    all'espletamento    delle    procedure    di
approvvigionamento per gli enti del Servizio sanitario della  regione
avvalendosi di Consip ovvero - previa convenzione - delle centrali di
committenza della Calabria o di regioni limitrofe  per  l'affidamento
di appalti di lavori, servizi e  forniture,  pari  o  superiori  alle
soglie comunitarie, con  facolta'  di  avvalersi  del  Provveditorato
interregionale per le opere pubbliche per la Sicilia-Calabria, mentre
il Piano di rientro nella versione nuovamente vigente dal 3  novembre
u.s., prevedeva invece «vedi DG.R. n. 845/2009,  allegato,  paragrafo
9, punto b, e paragrafo 10, gia' prodotta nel ricorso n. 105/2020» la
«predisposizione» delle gare da parte solo  da  parte  della  S.U.A.,
nonche' un budget prefissato per tale attivita' al fine di consentire
un risparmio di spesa; l'art. 6,  comma  2,  condiziona  l'erogazione
delle somme di cui al comma 1 alla sottoscrizione  di  uno  specifico
accordo tra  lo  Stato  e  le  regioni  contenente  le  modalita'  di
erogazione delle  risorse,  ma,  soprattutto,  alla  presentazione  e
approvazione del programma operativo di  prosecuzione  del  Piano  di
rientro per il periodo 2022-2023; l'art. 7, infine,  determina  -  in
esito a modifica in sede di conversione  -  in  massimo  ventiquattro
mesi la durata della misure, e consente al Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto  con
il  Ministro  della  salute,  sentito  il  Ministro  per  gli  affari
regionali e le autonomie, ed, ora, anche il Presidente della regione,
di aggiornare il mandato Commissariale assegnato con delibera del  19
luglio 2019 anche con riferimento al Commissario  ad  acta,  solo  in
relazione ai compiti affidati col Capo I della legge, nonche' - comma
4 - fa cessare  dall'incarico  gli  «organi»  eventualmente  nominati
dalla regione dal 3 novembre. 
    L'intervento legislativo determina la violazione  degli  articoli
5, 117 e  120  della  Costituzione,  2,  comma  78,  della  legge  n.
191/2009; 1, 2, 3, 6, 8 e 9 del decreto legislativo n. 171/2016,  11,
comma 1, lettera p), della  legge  n.  124/2015,  5-bis  del  decreto
legislativo n. 502/1992; la sua unilateralita' lede il  principio  di
leale collaborazione (sul quale, vedi da ultimo ordinanza  n.  4/2021
di codesta Corte), per come declinato, oltre che  dalle  norme  sopra
richiamate,  dall'art.  8  della  legge  n.  131/2003,  ed   e'   ora
ulteriormente  comprovata  dalla  limitata  forma  di   consultazione
introdotta in sede di conversione. 
    Gia' la sentenza n. 200/2019 di codesta Corte  ha  affermato  che
«Le facolta' di audizione  e  partecipazione  della  regione  non  si
estendono, del resto, all'individuazione nominativa del Commissario e
del sub Commissario,  la  cui  scelta  spetta  in  via  esclusiva  al
Governo» e che, nel  caso  li'  esaminato,  la  leale  collaborazione
sarebbe  stata  garantita  «dall'azione   congiunta   del   "Comitato
paritetico permanente per  la  verifica  dei  livelli  essenziali  di
assistenza" e del "Tavolo tecnico per la verifica degli  adempimenti"
regionali», mentre, nel caso che qui  ne  occupa,  non  si  verte  in
materia di  indicazione  nominativa  del  Commissario,  ed  i  tavoli
richiamati in sentenza non sono stati in alcun modo «interessati»  in
merito a  contenuti  ed  adozione  del  provvedimento  normativo  qui
impugnato. 
    Cio' detto, l'invasione/compressione delle  sfere  di  competenza
regionale concorrente e residuale e' di tutta evidenza, e  come  gia'
sopra  evidenziato,  non  ha  piu'  carattere  di  eccezionalita'   e
temporaneita', ma anzi si «aggrava» rispetto alla versione 2019; pare
quindi evidente la violazione denunciata  dalla  regione  ricorrente:
l'art. 5 della Costituzione riconosce e promuove le autonomie locali;
l'art.  117,  comma  2,  prevede  tra  le  materia  di   legislazione
concorrente  anche  quelle  della   tutela   della   salute   e   del
coordinamento della finanza pubblica, ed il comma  4  tra  quelle  di
legislazione residuale  l'organizzazione  degli  uffici;  l'art.  121
della Costituzione prevede che il potere  legislativo  della  regione
sia esercitato dal Consiglio regionale, e che la rappresentanza della
regione sia individuata in capo al Presidente  della  Giunta;  l'art.
120, comma 2, della Costituzione, pone come preciso limite al  potere
sostitutivo statale l'esercizio dello stesso secondo  i  principi  di
sussidiarieta' e di leale collaborazione. 
    Quanto a tale ultimo e distinto profilo di lesivita', il  mancato
invito a partecipare del Presidente della Giunta f.f. al C.d.M. del 9
novembre 2020 o altra forma  di  «coinvolgimento»  della  regione  e'
conclamato e  non  contestato  dalla  parte  statale;  rimane  quindi
acclarato che nessuna forma di leale collaborazione sia stata attuata
nel caso in esame, mentre l'art. 8, comma 1, della legge n.  131/2003
prevede espressamente che  anche  in  ipotesi  di  adozione  di  atti
normativi in  materia  -  senza  esclusione  alcuna  in  ordine  alla
tipologia  di  atto,  e  quindi  anche  in  ipotesi  di  adozione  di
decreto-legge - il Presidente della Giunta debba  essere  invitato  a
partecipare al relativo C.d.M.; certamente, non «ripara» il vizio  il
meccanismo inserito nel comma 3 dell'art. 7 in sede  di  conversione,
sia  perche'  successivo  all'adozione  delle  norme  impugnate,  sia
perche' «limitato» al solo aggiornamento  del  mandato  commissariale
per i compiti correlati al Capo I. 
    Ad avviso della regione ricorrente, comunque, l'art. 8, comma  4,
della legge n. 131/2003, che prevede, anche per i  casi  di  urgenza,
quanto meno  il  coinvolgimento  della  Conferenza  Stato  regioni  a
seguito dell'adozione di «provvedimenti», la quale puo'  chiedere  il
riesame del provvedimento, se riguarda l'adozione di decreti-legge ex
art. 77 della Costituzione, come chiarito da  codesta  Corte  con  la
sentenza n. 233/2019; la mancata comunicazione alla Conferenza da' la
dimostrazione della violazione denunciata  pure  sotto  tale  diverso
profilo, anche perche', nel caso che qui  ne  occupa,  le  «pregresse
inadempienze» che sostengono l'intervento sono palesemente statali, e
non regionali (e sia  consentito  di  rilevare  che  l'asserzione  di
pagina 27 della memoria erariale piu' volte sopra richiamata, ove  si
sostiene che, qui ed ora,  e'  inutile  individuare  «l'imputabilita'
soggettiva» della  grave  situazione  calabrese  e'  solo  l'ennesimo
schiaffo che lo Stato riserva alla regione ricorrente). 
    Infine,  risulta  documentalmente  comprovata  l'erroneita'   del
presupposto fondante dell'intervento, ossia  il  reiterato  «deficit»
dei  LEA:  come  dimostrato,  anche  mediante   l'allegazione   della
relazione sui LEA 2018  gia'  effettuata  nel  ricorso  n.  105/2020,
seppur dopo due anni, lo Stato ha rilevato come i LEA  siano  l'unico
dato in reale miglioramento nella regione, per cui non  solo  risulta
non veritiera l'indicazione in ordine al presunto «reiterato  mancato
raggiungimento  del  punteggio  minimo  previsto  dalla  griglia  dei
livelli essenziali di assistenza (LEA)»,  e  non  puo'  certo  essere
utilizzata la sistematica sottovalutazione  dei  dati  da  parte  del
tavolo  tecnico  per  protrarre   l'occupazione   statale;   inoltre,
l'ulteriore  presupposto,  ossia  il  mancato  «raggiungimento  degli
obiettivi economico-finanziari  previsti  dalla  cornice  programmata
nell'ambito   dei   programmi   operativi»,   risultando   imputabile
esclusivamente alla Stato «non essendo affatto inutile evidenziare la
chiara imputabilita'  soggettiva  delle  condotte»  non  puo'  essere
utilizzato dallo stesso per autoalimentare ed ampliare l'inefficiente
commissariamento e proseguire nell'invasione/compressione di sfere di
competenza regionale. 
4) Violazione articoli 32, 81, 117, 118 e 119 della  Costituzione;  2
del  decreto  legislativo  n.  171/2016  e  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    In ordine al presente motivo di ricorso, nonche'  agli  ulteriori
motivi, pur essendo nota la giurisprudenza di  codesta  Ecc.ma  Corte
che afferma che nei  giudizi  in  via  principale,  le  regioni  sono
legittimate a  censurare  le  leggi  dello  Stato  esclusivamente  in
riferimento  a  parametri  relativi  al  riparto   delle   rispettive
competenze legislative, salva ipotesi di  violazione  di  questi  che
comporti   una   compromissione    delle    attribuzioni    regionali
costituzionalmente garantite, e previa indicazione  delle  specifiche
competenze ritenute lese e le ragioni  della  lamentata  lesione,  si
ritiene di segnalare che il presente caso e' un unicum, in quanto  le
norme impugnate sono espressamente dirette  ad  incidere  sulla  sola
regione ricorrente, il che pare  determinare  una  ridondanza  in  re
ipsa, anche perche' «e' messo in pericolo non il servizio di raccolta
differenziata, non il servizio di scuola bus, non  la  pulizia  delle
strade per gli abitanti di un singolo  comune,  ma  la  piena  tutela
della salute - che e' il "diritto  dei  diritti"  -  per  i  circa  2
milioni di abitanti del territorio calabro» -  pagina  18  intervento
orale Relatrice giudizio parifica  Corte  dei  conti  Calabria,  gia'
allegato al ricorso n. 105/2020). 
    In ogni caso, si dettagliera'  la  ridondanza  richiesta  -  gia'
riconosciuta , ad esempio, in ordine al ricorso avanzato anche  dalla
Regione Calabria da codesta Corte con la sentenza n.  195/2019  -  in
quanto tutte le norme impugnate incidono sulle competenze  regionali,
in  materia  di  legislazione  concorrente  (tutela  della  salute  e
coordinamento della finanza pubblica),  e  se  e'  pur  vero  che  il
rispetto dei  L.E.A.  e  la  profilassi  internazionale  ricadono  in
materie demandate alla competenza esclusiva dello Stato,  non  vi  e'
dubbio  che  l'esercizio  di  tali  competenze  risulti  strettamente
intrecciato con altre materie demandate alla competenza  esclusiva  o
concorrente delle regioni quali, appunto, la tutela della  salute  ed
il coordinamento della finanza pubblica, e  comunque,  proprio  nella
consapevolezza di tale inevitabile intreccio, in materie di altissima
sensibilita' politica e di altrettanto  rilievo  per  la  tutela  dei
diritti fondamentali individuali, la Carta costituzionale ha imposto,
all'art. 118, comma 3, l'individuazione di  «forme  di  coordinamento
fra Stato e regioni nelle materie di cui alle lettere  b)  e  h)  del
secondo  comma  dell'art.  117»,  totalmente  assenti  nel  caso   in
questione. 
    Le ragioni delle lamentate lesioni - indicate non  solo  rispetto
al generale assetto di competenze della regione, ma altresi' rispetto
all'esercizio  di  tali  competenze,   vale   a   dire   ai   singoli
provvedimenti  legislativi  incisi  dall'atto  impugnato  -  sono  la
privazione del potere presidenziale di nomina di Commissari ed organi
della aziende (art. 2),  la  disciplina  di  cause  di  decadenza  di
direttori  generali  e  Commissari,  e  l'aggiornamento  del  mandato
commissariale (art. 7), la disciplina degli appalti per gli enti  del
SSN (art. 3), il finanziamento  «aggiuntivo»  del  sistema  sanitario
calabrese, anche per l'anno corrente, con  condizione  che  ne  rende
impossibile l'erogazione (art. 6); inoltre, lo  stato  della  sanita'
calabrese, per come descritto dalla magistratura contabile, anche per
la  mancata  riattivazione  di  poli   ospedalieri   da   parte   del
Commissario, di  fatto,  ed  anche  per  il  costante  aumento  della
pressione fiscale sui cittadini calabresi - e non solo  su  di  essi,
come riconosciuto nella citata sentenza  n.  195/2019  -  determinata
dalle   inefficienze   statali,   ha   creato    criteri    selettivi
«territoriale» e «reddituale» di accesso alle prestazioni  sanitarie,
ed ha ridotto l'accesso ai servizi ospedalieri,  limitando  di  fatto
l'accesso alle stesse, e determinando il divieto di effettuare  spese
non obbligatorie da parte del bilancio regionale fino al 31  dicembre
2021, la cui regolamentazione rientra  nella  competenza  legislativa
concorrente regionale. 
    L'insieme delle norme impugnate incide complessivamente, e  molto
negativamente, sull'intero  sistema  sanitario  calabrese,  e  quindi
sulle competenze regionali; piu' in dettaglio, gli  articoli  2  e  7
consentono  la  nomina  dei  Commissari  straordinari  da  parte  del
Commissario anziche' da parte del Presidente  della  Regione  -  come
invece previsto dall'art. 2 del decreto  legislativo  n.  171/2016  e
dagli articoli 14 della legge regionale n. 11/2004 e 20  della  legge
regionale n. 29/2002 - e la revoca degli stessi sempre da  parte  del
Commissario, nonche' una ipotesi di decadenza, entrambe non  previste
ne' dal decreto legislativo n. 171/2016, ne'  dalla  leggi  regionali
sopra richiamate; l'art. 2 introduce un compenso aggiuntivo in favore
dei Commissari non previsto dalle  leggi  regionali  sopra  indicate;
l'art.  3,  consentendo  il  ricorso  solo  previa  convenzione  alla
Stazione unica appaltante della  Regione  Calabria  per  gli  appalti
degli enti del SSN, di fatto nuovamente incide sull'art. 1, comma  1,
della legge regionale n. 26/2007, che prevede(va), con  finalita'  di
risparmio, come obbligatorio il ricorso alla S.U.A. - tra gli altri -
per gli enti appartenenti al  S.S.N.,  e,  ad  oggi,  malgrado  siano
passati  piu'  di  tre  mesi  dall'entrata  in  vigore  delle   norme
impugnate,  il  Commissario  non  ha  ne'  provveduto  ad   espletare
procedure tramite  Consip,  ne'  stipulato  convenzioni  ad  hoc  con
Centrali di committenza, ivi compresa la S.U.A., determinando  quindi
-   anche   questa    volta    -    una    paralisi    nel    settore
dell'approvvigionamento di beni  e  servizi  del  servizio  sanitario
regionale, oltre al gia' sopra censurato aumento  di  costi  del  5%,
come rilevato dalla Corte dei conti; l'art. 6,  comma  2,  condiziona
alla  presentazione  e  approvazione  del  programma   operativo   di
prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023, ossia  ad
un atto unilaterale del Commissario gia' oggetto di enormi ritardi in
passato, e non certo ne' quanto alla sua adozione,  ne'  ai  termini,
peraltro, molto differiti nel tempo, tanto di contraddire in  termini
la pretesa emergenza dell'intervento. 
    Ai sensi dell'art. 117, comma 3, la tutela  della  salute  ed  il
coordinamento  della  finanza  pubblica  costituiscono   materie   di
legislazione concorrente tra lo Stato e le regioni, e tale competenza
deve essere esercitata dalle regioni  nel  rispetto  della  normativa
costituzionale; l'art. 119, oltre a prevedere l'autonomia finanziaria
regionale, consente - nel rispetto  del  vincolo  di  bilancio  -  di
individuare la destinazione delle risorse; l'art. 81 impone non  solo
l'equilibrio di bilancio, ma anche la certa copertura di nuove spese;
l'art. 32 della Costituzione, infine, individua la  salute  non  solo
come diritto fondamentale dell'individuo,  ma  anche  come  interesse
della collettivita', prevedendo cure gratuite per gli indigenti. 
    L'intervento statale e' stato complessivamente cosi' efficace nel
disastrare la sanita' calabrese da dover richiedere, a novembre 2020,
e quindi dopo l'entrata in vigore delle norme impugnate,  un  accordo
«si veda articolo allegato»  tra  il  Dipartimento  della  protezione
civile  e  l'Associazione  Emergency  -   che   opera,   come   noto,
prevalentemente  nei  paesi  del  c.d.  «Terzo  Mondo»  «Afghanistan,
Algeria, Angola, Cambogia, Eritrea, Iraq,  Libia,  Nepal,  Nicaragua,
Palestina, Repubblica Centrafricana, Ruanda,  Serbia,  Sierra  Leone,
Sri Lanka, Sudan, Uganda» - per gestire un reparto  dell'Ospedale  di
Crotone, e piu' in generale gli ospedali da  campo,  nonche'  fornire
supporto all'interno dei Covid Hotel e  nei  punti  di  triage  negli
ospedali, il tutto mentre - ed anche qui ci si affidera' alle  parole
della magistratura, questa volta amministrativa - in  relazione  alla
perdurante mancata riattivazione dell'Ospedale di Trebisacce da parte
dell'Ufficio del Commissario, tanto da necessitare  di  «al  momento,
inutile» nomina di Commissario ad acta  «La  sequela  di  inerzie  ed
elusioni sin qui riepilogate consegna  l'allarmante  rappresentazione
di un'area del territorio nazionale sprovvista della vitale  garanzia
della  primaria  assistenza  sanitaria,  quella  ai  piu'  tempestivi
interventi  di  urgenza-emergenza.  Tanto  a  circa  sei  anni  dalla
pronuncia di questo Consiglio, che ha messo a fuoco il  vulnus  cosi'
inferto  agli  standard  sanitari   essenziali   e   la   conseguente
mortificazione del diritto alla salute degli abitanti del  Comune  di
Trebisacce e del relativo distretto. E' un fatto di assoluta gravita'
che l'effetto conformativo di quella pronuncia sia rimasto ad oggi un
mero flatus  voci,  se  solo  si  considerano  la  delicatezza  degli
interessi in gioco, i profili di rischio  dell'incolumita'  personale
ai  quali  risultano  esposti  i  cittadini  dell'area   territoriale
interessata e la relativa marginalita' (in termini di  programmazione
e di costi)  degli  interventi  che  si  renderebbero  necessari  per
apprestare quantomeno  gli  apparati  strumentali  atti  a  garantire
(ancor prima  di  una  completa  riattivazione  della  totalita'  dei
reparti programmati, quantomeno) una efficiente assistenza  di  primo
soccorso e di emergenza.» (Cons. Stato, III, ordinanza n. 1369/2021),
ed alla regione e' precluso qualunque intervento  sulla  vicenda  sia
materiale  che  finanziario,  anche  per  il  divieto  di  spese  non
obbligatorie gia' sopra censurato. 
    Quanto alle somme aggiuntive da erogare di cui all'art. 6, forse,
saranno erogate tra oltre un anno, ossia - pur essendo  prevista  una
erogazione per l'anno 2021,  materialmente  impossibile  -  quasi  in
chiusura dell'intervento emergenziale  che  dovrebbero  sostenere,  e
quindi senza nessuna concreta  ricaduta  sullo  stesso,  salvo  dover
ipotizzare  sin  da   ora   l'ennesimo   tentativo   di   protrazione
dell'occupazione statale del sistema sanitario calabrese. 
    In  conclusione,  dimostrata  la  ridondanza,  il   motivo   pare
evidentemente fondato. 
5) Violazione degli articoli 81, 117, 119, 121 della Costituzione 
    Come gia' sopra riportato al  punto  3),  l'art.  1  impone  alla
regione di mettere un contingente «minimo» di venticinque  persone  a
disposizione del Commissario per massimo ventiquattro mesi  «art.  7,
comma 1»: cio' lede diversi parametri costituzionali. 
    Innanzi tutto, cio' determina la  macroscopica  violazione  degli
art. 117, comma 4, e 121 della Costituzione,  in  quanto  tale  norma
incide in  materia  di  competenza  legislativa  residuale  regionale
«ordinamento ed organizzazione amministrativa regionale,  vedi  Corte
costituzionale, sentenza n. 191/2017»  in  ordine  all'organizzazione
degli uffici regionali, che  rischia  di  venire  devastata  da  tale
impatto del tutto «indiscriminato» (prevedere un contingente  minimo,
e non un contingente massimo, lascia al mero arbitrio del Commissario
la scelta del numero di persone  da  «applicare»,  sia  interni  alla
regione che esterni, come oltre dimostrato). 
    Cio' premesso, l'art. 1 viola anche gli articoli 81,  117  e  119
della Costituzione: tenuto  conto  che  il  costo  diretto  dei  soli
emolumenti commissariali, antecedente al  decreto-legge  n.  150/2020
per come convertito, era gia' pari  ad  euro  300.000  «euro  174.831
annui, oltre oneri riflessi, per  il  Commissario,  ed  euro  148.554
annui, oltre oneri riflessi, per il Subcommissario», e tale somma  e'
annualmente stanziata nel bilancio regionale (capito  U12010113801  -
estratto del bilancio gestionale 2020-2022, approvato con DGR. n.  60
del 29 aprile 2020, gia' allegata al ricorso n. 105/2020), e  che  in
attuazione della  disposizione  impugnata  e'  stato  ritenuto  dalla
regione «si veda nota dirigenziale allegata al ricorso  n.  105/2020»
finanziariamente sostenibile un ulteriore costo complessivamente pari
a  500.000,00  euro,  per  come  indicato  nella  relazione   tecnico
finanziaria (gia' allega al ricorso n.  105/2020)  che  corredata  la
legge regionale 4 dicembre 2020, n.  29,  pubblicata  nel  Bollettino
Ufficiale della Regione Calabria n. 114  del  4  dicembre  2020,  non
impugnata dal Governo,  e  quindi  non  solo  neanche  sospettata  di
incostituzionalita' dalla parte statale,  ma  dalla  stessa  ritenuta
evidentemente satisfattiva delle necessita' commissariali (vedi anche
estratto della DGR. n. 435/2020, che declina le nuove  autorizzazioni
di spesa nei singoli capitoli di bilancio, gia' allegata  al  ricorso
n. 105/2020). 
    Per tale ragione, con la citata legge  regionale  n.  29/2020  e'
stata iscritta in bilancio la somma di euro 500.000,00  sul  capitolo
U1201013801 per le annualita' 2021 e  2022;  tale  importo  e'  stato
confermato nel bilancio di previsione 2021-2023,  nel  quale,  tenuto
conto dello stanziamento originario  di  euro  300.000,00  (peraltro,
destinato a  non  garantire  copertura,  ove  effettivamente  vengano
nominati  tre  Subcommissari  in  luogo  di  uno  soltanto,  come  in
passato), e' allocato l'importo complessivo di  euro  800.000,00  per
ciascuna annualita'. 
    La norma impugnata, pero', anche dopo  la  conversione,  avvenuta
dopo  l'adozione  da  parte  della  regine  della   normativa   sopra
richiamata, continua a  non  porre  limiti  quantitativi  al  ricorso
all'esterno, ed infatti il Commissario,  pur  avendo  avuto  messi  a
disposizione oltre un centinaio di personale del Dipartimento  tutela
della salute (vedi D.G.R. n. 2/2021,  nonche'  Pec  del  Dipartimento
organizzazione  e  personale,  che  si  producono,  per   complessive
centonove unita', novantotto  dipendenti  -  un  dirigente  generale,
dodici  dirigenti,  cinquantatre  funzionari  categoria   D,   undici
collaboratori categoria C, ventuno ulteriori unita' di categorie B ed
A - ed undici unita' lavorative in distacco da  Calabria  Lavoro),  e
pur avendo anche il supporto  «aggiuntivo»  da  Agenas  «articoli  1,
comma 4, nella  misura  di  venticinque  unita',  come  da  relazione
tecnica della Ragioneria di Stato gia' allegata da  parte  resistente
nel ricorso n. 105/2020», in data 5 febbraio 2021 «vedi nota  che  si
allega» ha richiesto  il  comando  di  altre  venticinque  unita'  di
personale. 
    Alla replica del D.G. del Dipartimento personale «vedi  nota  del
10 febbraio 2021, che si allega» che,  richiamando  il  summenzionato
vincolo di spesa, chiedeva indicazione dei profili  tenuto  conto  di
tale vincolo, il neo Commissario, anziche' fornire i dati  richiesti,
ha assunto il D.C.A. n. 26/2021 «che si allega» nel quale  chiede  al
D.G. del Dipartimento  Tutela  della  salute  «quindi,  alla  propria
struttura» di ricorrere all'art. 3, pure qui impugnato, per  reperire
servizi professionali per la struttura commissariale  medesima:  ogni
commento pare assolutamente superfluo! 
    E' evidente che, in disparte la rilevante incidenza sul  bilancio
regionale,  anche  per  le  «divagazioni»  commissariali,  la   norma
consente, a mera discrezione del Commissario «e si e'  fornita  sopra
una  precisa  idea  del  concetto  di  discrezionalita'  dell'attuale
Commissario» un impatto  incerto  «vista  anche  la  possibilita'  di
nomina di tre Subcommissari»  nel  quantum  sul  bilancio  regionale,
anche  superiore  al  limite  di  sostenibilita'  documentato   dalla
regione, e quindi anche privo di adeguata copertura finanziaria «art.
81, comma 3, della Costituzione», il che  -  oltre  a  dimostrare  la
ridondanza della  questione  sui  parametri  costituzionali  che  non
riguardano la ripartizione di competenze tra Stato e regioni  proprio
tramite l'indicazione dell'art. 119 della Costituzione - conclama  la
fondatezza della censura. 
    Quanto ai costi indiretti,  la  sottrazione  di  personale  (vedi
D.G.R. n. 2/2021 e Pec sopra richiamate, che espongono un costo  pari
a complessivi euro  6.081.206,74,  ossia  euro  5.806.206,74  per  il
personale regionale ed euro 275.000  per  il  personale  di  Calabria
Lavoro) imporra' alla regione, per mantenere il livello  di  servizi,
di reperire altrove le risorse  umane  «distratte»,  con  conseguente
aggravamento per altro verso dell'impatto della  norma  sul  bilancio
regionale, di importo non esattamente quantificabile. 
    E' comunque il caso, in conclusione, di rilevare che, se e'  vero
che  gia'  a   legislazione   vigente   la   regione   deve   fornire
«collaborazione» alla struttura commissariale, non vi e'  dubbio  che
competa a codesta Corte trovare - in esito al ricorso avanzato  dalla
regione - un punto di equilibrio  in  materia,  per  evitare  che  le
irragionevoli pretese statali - che gia' hanno fatto saltare l'intero
sistema sanitario regionale - facciano deflagrare anche  la  macchina
organizzativa regionale. 
6) Violazione articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione; 1,  2,  8
del decreto legislativo n. 171/2016; 11, comma 1,  lettera  p)  della
legge n. 124/2015 e del principio di leale collaborazione 
    L'art. 2, in combinato  disposto  con  l'art.  7,  comma  4,  nel
consentire la nomina, previa cessazione dalle funzioni  di  direttori
generali o di qualunque altro  «organo  ordinario  o  straordinario»,
gia' eventualmente nominati dal  Presidente  della  Regione  Calabria
previa deliberazione di Giunta, ex art. 20 della legge  regionale  n.
29/2002, solo nella Regione Calabria, violano gli  articoli  5,  117,
120, 121 della Costituzione, 1, 2 e  8  del  decreto  legislativo  n.
171/2016, ed 11, comma 1, lettera p), della legge  n.  124/2015,  sia
perche' le «pregresse inadempienze» che fondano l'intervento non sono
regionali ma statali, sia perche' la  compressione  delle  competenze
regionali ormai non e' piu' «eccezionale e temporanea», ma ha assunto
il carattere di regola stabile,  sia,  infine,  perche'  introducendo
l'art. 2 norma non di principio,  ma  di  dettaglio,  in  materia  di
legislazione concorrente, ed in relazione  ad  istituto  disciplinato
dallo Stato prima solo col decreto-legge n. 35/2019, ma gia'  normato
dal legislatore regionale (si vedano su tale ultimo punto le sentenze
di codesta Ecc.ma Corte numeri  190/2017,  punto  6  «Considerato  in
diritto» - proprio relativa alla  regione  ricorrente  -  e  87/2019,
punti 4.2 e seguenti «Considerato  in  diritto»),  mentre  l'art.  7,
comma 4, introduce una ipotesi  di  decadenza  non  disciplinata  ne'
dalla  normativa  statale  di  riferimento,   ne'   dalla   normativa
regionale, in assenza di intesa  Stato  regioni;  inoltre,  l'art.  2
consente una immotivata deroga all'obbligo di  attingere  dall'elenco
nazionale di cui all'art. 1  del  decreto  legislativo  n.  171/2016;
ancora, sempre l'art. 2 deroga in termini immotivati all'art.  2  del
medesimo decreto legislativo; infine, mentre  l'art.  8  del  decreto
legislativo n. 171/2016 aveva previsto che dalla modifiche di settore
non sarebbe dovuta sopravvenire nessuna nuova spesa, mentre l'art.  2
impingua   sostanzialmente   le   spese,   ed   il   mancato   previo
raggiungimento di intesa in sede di Conferenza su  tali  nuovi  oneri
determina la lamentata violazione anche sotto tale diverso profilo. 
    In dettaglio, si conferisce il potere di nomina al Commissario  o
al Ministro, seppur previa intesa con  la  regione;  si  consente  la
nomina anche al di fuori dell'elenco nazionale di cui all'art. 1  del
decreto legislativo n. 171/2016, derogato senza intese;  inoltre,  si
introduce una ipotesi di decadenza degli  organi  eventualmente  gia'
nominati alla regione, non disciplinata dal  decreto  legislativo  n.
171/2016; si prevede la possibilita' di nomina di un Commissario  per
piu' aziende del S.S.R. 
    Pare efficace richiamare, a  sostegno  del  vizio  lamentato,  la
sentenza n. 251/2016 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale,  che  ha
dichiarato incostituzionale l'art. 11 della legge n. 124/2015,  anche
nella parte in cui consentiva di  adottare  quello  che  poi  sarebbe
stato indicato come  decreto  legislativo  n.  171/2016,  non  previa
intesa con la Conferenza Stato regioni, ma solo previo  parere  della
Conferenza unificata, in quanto, riguardando competenze  concorrenti,
come quella  relativa  alla  disciplina  della  dirigenza  sanitaria,
l'intervento del legislatore statale, costituito dalla determinazione
dei principi fondamentali in materia di tutela  della  salute,  «deve
muoversi  nel  rispetto  del  principio  di   leale   collaborazione,
indispensabile anche in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato
e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 26 e n. 1  del
2016, n. 140 del 2015, n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168  e  n.
50 del 2008). Poiche' le  disposizioni  impugnate  toccano  sfere  di
competenza esclusivamente statali e regionali,  il  luogo  idoneo  di
espressione della leale collaborazione deve essere individuato  nella
Conferenza Stato-regioni». 
    Non  e'  in  discussione,  quindi,   che   qualunque   intervento
legislativo che incida sull'assetto delineato dal decreto legislativo
n. 171/2016 - come accaduto, ad esempio, al momento dell'adozione del
decreto legislativo n. 126/2017, correttivo  di  alcune  disposizioni
del decreto legislativo n. 171 - debba - per  inequivoca  statuizione
di codesta Corte - necessariamente essere preceduto da intesa in sede
di  Conferenza  Stato  regioni,  ivi  comprese  le  deroghe/modifiche
introdotte  col  decreto-legge  per  come   convertito   oggetto   di
impugnativa; come gia' sopra dedotto, la  norma  impugnata  incide  -
comprimendole in via ormai non piu' eccezionale,  e  per  un  periodo
temporale estremamente lungo - sulle competenze regionali, in materia
di legislazione concorrente (tutela della salute); le  ragioni  delle
lamentate lesioni/compressioni risiedono nella privazione del  potere
della Giunta di nomina di Commissari delle aziende (art. 20, comma 2,
della legge regionale n. 29/2002)  e  degli  organi  ordinari  (legge
regionale n. 11/2004), nel conferimento di potere  di  nomina,  anche
«multiplo», pure al di fuori dell'elenco obbligatorio sopra citato, e
nella previsione di una ipotesi di «cessazione  dalle  funzioni»  non
disciplinata dal decreto legislativo n. 171/2016, e non assistita  da
intesa Stato regioni. 
7) Violazione articoli 81, 117, 119, 121  della  Costituzione  e  del
principio leale collaborazione. 
    L'art. 3, comma 1, del decreto-legge - come gia' sopra esposto  -
obbliga gli enti del Servizio sanitario della regione  ad  avvalersi,
oltre che della centrale di committenza  S.U.A.,  di  Consip  in  via
principale, ovvero  di  altre  centrali  di  committenza  di  regioni
«limitrofe»  «singolarissima  scelta   terminologica,   di   vaghezza
fortemente censurabile»  per  l'affidamento  di  appalti  di  lavori,
servizi e forniture, superiori alle soglie comunitarie, con  facolta'
di avvalersi del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche
per  la  Sicilia-Calabria:  in  disparte  la  gia'   sopra   esposta,
singolarissima interpretazione  che  il  Commissario  ha  dato  della
norma, cio' determina, innanzi tutto, la lamentata  violazione  degli
articoli 117, comma 3, e 121 della Costituzione. 
    La Stazione Unica Appaltante e' stata istituita nel lontano  2007
(legge regionale n. 26/2007), prevedendo all'art. 1,  comma  1,  come
obbligatorio il ricorso alla S.U.A. - tra gli altri -  per  gli  enti
appartenenti al S.S.N.: consentendo ad libitum  al  Commissario  (che
essendo gia'  delegato  governativo,  non  puo'  subdelegare  proprie
competenze, per di piu' alla propria struttura)  di  ricorre  in  via
preliminare a Consip, o anche, in via subordinata, di nuovo ad  altre
centrali di committenza, pare evidente che  lo  Stato  abbia  emanato
norma non di  principio,  ma  di  estremo  dettaglio  in  materia  di
legislazione  concorrente  (vedi   esattamente   in   termini   sulla
competenza regionale, le sentenze di codesta Corte n. 43/2011,  punti
4  e  5  «Considerato  in  diritto»  e  166/2019,  punti  8.1  e  8.2
«Considerato in diritto»); peraltro, si valutino i seguenti dati,  in
relazione alle «preoccupazioni» esposte in udienza  e  richiamate  al
punto 2) del presente ricorso. 
    Con la gia' citata sentenza n. 233/2019,  codesta  Corte  chiari'
che le gare in corso potevano essere completate dalla S.U.A., che  ha
provveduto immediatamente; con convenzione «si e'  gia'  allegato  al
ricorso n. 105/2020 lo schema,  approvato  con  DCA  n.  156  del  26
novembre  2019»  il  precedente  Commissario,  senza  mai  utilizzare
Consip, sceglieva di valersi della campana Soresa  come  centrale  di
committenza e le uniche due procedure gestite da  Soresa  sono  state
«completate» il 3 novembre 2020 «sono gia' stati prodotti nel ricorso
n. 105/2020 i D.C.A numeri 139/2020 e 140/2020»!!! 
    Preso seppur tardivamente atto del problema, il legislatore,  con
la legge n. 120/2020 aveva modificato l'art. 6 del  decreto-legge  n.
35/2019, sostituendo le parole: «di centrali di committenza di  altre
regioni» con «dalla centrale di committenza della Regione  Calabria»;
neanche il tempo di provare a riavviare l'attivita' della  S.U.A.  in
materia - pur senza stipulare alcuna convenzione - ed ecco cessare  i
propri effetti l'art. 6 per come «rimodulato» ed intervenire la norma
impugnata, che - come un perverso gioco dell'oca - riporta la regione
quasi al punto di partenza,  anche  nella  versione  derivante  dalla
conversione. 
    Considerando che l'attuale Commissario, da un lato,  non  stipula
le convenzioni ne' utilizza Consip secondo la  previsione  normativa,
e, dall'altro, demanda a soggetto diverso da  quello  previsto  dalla
norma stessa l'utilizzo di tale norma per fini  palesemente  estranei
alla previsione normativa, vi  e'  la  ragionevole  certezza  che  la
regione  si  trovera'  nuovamente  a  subire  il  trattamento   sopra
descritto, consentendo la norma impugnata un  trattamento  che  mette
nuovamente e direttamente  a  repentaglio  la  salute  dei  cittadini
calabresi. 
    Inoltre, la norma contrasta anche con gli articoli 81,  comma  4,
117 e 119 della Costituzione: come sopra  esposto,  per  contenere  i
costi e'  stato  predeterminato  in  sede  di  Piano  di  rientro  un
abbattimento dei costi per il ricorso solo alla S.U.A., e la S.U.A. -
proprio perche' struttura regionale - non sopporta costi di difesa in
giudizio, essendo  assistita  dall'Avvocatura  regionale,  mentre  il
ricorso ad  altre  Stazioni  appaltanti  -  compresa  Consip  -  puo'
avvenire  senza  limiti  di  costo,  ed  infatti  -  come  ricavabile
dall'art. 6 dello schema di convenzione  allegato  -  il  Commissario
aveva garantito a Soresa non solo il pieno rimborso delle spese  vive
sostenute dalla centrale di  committenza  per  la  pubblicazione  dei
bandi di  gara  e  degli  avvisi  di  aggiudicazione  secondo  quanto
previsto dagli articoli 72, 73  e  98  del  Codice;  il  costo  delle
eventuali indennita' riconosciute  ai  componenti  della  Commissione
giudicatrice; il costo del corrispettivo per  singola  procedura,  ma
anche il rimborso senza  limiti  delle  spese  di  giudizio;  codesta
Ecc.ma Corte, sin dalla pronuncia n. 214/2012 , ha  sempre  rimarcato
la necessita' che la stima della copertura della spesa sia fatta  «in
modo credibile», il  che,  con  tutta  evidenza,  non  riguarda  tale
disposizione, che risulta totalmente priva di  copertura  finanziaria
«soprattutto  nella  interpretazione  che  dimostra   di   darne   il
Commissario» e, peraltro, impatta sul bilancio regionale, che  vedra'
aggravare ulteriormente la propria sofferenza da  tale  incontrollato
«e sia consentito dirlo, palesemente inefficace e costoso» ricorso  a
centrali di committenza esterne ed improprio utilizzo,  impatto  allo
stato non quantificabile solo perche' dipendera' esclusivamente dalle
iniziative del Commissario, documentate come assolutamente  improprie
nella loro prima applicazione. 
8) Violazione articoli 3, 81, 97, 117, 119, 120,  8  della  legge  n.
131/2003, e  del  principio  di  leale  collaborazione  tra  Stato  e
regioni. 
    L'art. 6, comma 2, condiziona l'erogazione delle  somme  previste
dal comma 1 alla presentazione e approvazione del programma operativo
di prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023 e  alla
sottoscrizione di uno specifico Accordo tra lo  Stato  e  le  regioni
contenente  le  modalita'  di  erogazione  di  dette   risorse,   pur
prevedendo una erogazione anche per l'anno 2021, mentre  il  comma  3
demanda la verifica  del  contenuto  dell'accordo  congiuntamente  al
Comitato permanente per l'erogazione dei LEA e al Tavolo di  verifica
degli adempimenti. 
    La norma prova l'intenzione statale  di  protrarre  sine  die,  e
certamente addirittura  oltre  la  stessa  vigenza  della  norma,  la
dannosa  compressione  di  competenze/espropriazione   del   servizio
sanitario regionale calabrese. 
    Pare assolutamente opportuno riportare inciso quanto mai calzante
della sentenza n. 199/2018 di codesta Corte: «questa Corte  non  puo'
esimersi dal rilevare l'anomalia di un commissariamento della sanita'
regionale protratto per oltre un decennio, senza che l'obiettivo  del
risanamento  finanziario  sia   stato   raggiunto,   con   tutte   le
ripercussioni che esso determina anche sugli equilibri della forma di
governo regionale, a causa del perdurante esautoramento del Consiglio
e della stessa Giunta  a  favore  del  Commissario  ad  acta»,  ossia
l'anomalia in essere in Calabria, che in realta' e' ancora  peggiore,
per  il  documentato  peggioramento  della  situazione   durante   il
commissariamento. 
    Cio'  detto,  la  norma  pone  nel  2020  come   condizioni   per
l'erogazione di  fondi  anche  per  l'anno  2021  -  nel  quale,  per
ammissione   contenuta   nella   stessa    norma,    essa    parrebbe
particolarmente urgente, anche per  il  gia'  censurato  effetto  del
divieto di spese non obbligatorie sino a fine 2021 - presentazione ed
approvazione di un Programma operativo che non verra' adottato  prima
a del  2022;  in  pratica,  il  susseguirsi  di  Programmi  operativi
sistematicamente non attuati, ed approvati con abnorme ritardo  -  da
qui, la questione esposta al punto successivo -  e'  solo  il  metodo
attraverso il quale l'anomalia evidenziata  da  codesta  Corte  viene
perpetuata ed aggravata in Calabria, ed e' solo l'ennesima prova  del
disegno statale; e'  fermo  della  giurisprudenza  di  codesta  Corte
quello secondo il quale il principio  di  leale  collaborazione  deve
essere applicato» all'interno di un  procedimento  nel  quale  l'ente
sostituito possa far valere le proprie ragioni (ex plurimis, sentenza
n. 56/2018), e a tale principio «deve  essere  sempre  improntato  il
comportamento di Stato e  regioni.»  (sentenza  n.  57/2019),  ma  le
ragioni dell'ente non possono essere fatte valere in alcun modo. 
    Su tali presupposti, non  pare  discutibile  che  lo  Stato  stia
apertamente violando il principio di leale collaborazione: porre come
condizione per l'erogazione di fondi che hanno come pretesa finalita'
«supportare gli interventi di potenziamento  del  servizio  sanitario
regionale  stante  la  grave   situazione   economico-finanziaria   e
sanitaria presente  nella  Regione  Calabria»  un  evento  futuro  ed
incerto, che - nell'ipotesi piu' ottimistica -  sara'  approvato  nel
2022,  e  la  cui  approvazione  -  che  potrebbe  avvenire,  secondo
l'interpretazione avallata  da  codesta  Corte  con  la  sentenza  n.
200/2019, anche nel 2023 o successivamente -  vorra'  automaticamente
significare  l'estensione   per   almeno   un   altro   biennio   del
commissariamento, significa  venir  evidentemente  meno  alle  regole
sopra   piu'   volte   richiamate    che    devono    necessariamente
contraddistinguere i rapporti tra lo Stato e la regione. 
    La norma, inoltre,  viola  gli  articoli  81,  117  e  119  della
Costituzione, demandando all'evento futuro ed incerto sopra  indicato
l'erogazione di fondi, la necessita'  dell'erogazione  dei  quali  lo
stesso Stato qualifica come  urgentissima,  determina  una  «entrata»
meramente illusoria e non utilizzabile nell'immediatezza, causando in
concreto una falla nel bilancio regionale, pur  gravato  nei  termini
gia' sopra descritti. 
    La norma infine, per come congegnata,  viola  gli  articoli  117,
comma 3,  3  e  97  della  Costituzione:  in  materia  di  competenza
concorrente (tutela della salute e del  coordinamento  della  finanza
pubblica)  non  consente  alla  regione  l'equilibrio  di   bilancio,
rendendo sostanzialmente non percepibili somme  aggiuntive  che  pure
indica  come  indispensabili  per  contribuire  alla  soluzione   dei
problemi del sistema sanitario calabrese, ponendo cosi'  un  ostacolo
al riequilibrio della situazione calabrese determinata  dallo  stesso
Stato. 
9) Questione di L.C. in via «incidentale» 
    Deve anche in questa sede  rivolgersi  a  codesta  Corte  istanza
analoga a quella gia' rivolta con il ricorso n. 105/2020 R.R. 
    La Regione ricorrente intende qui sollecitare - anche  alla  luce
di quanto sopra esposto - la possibilita' che la Corte valuti  -  ove
la questione appresso evidenziata sia rilevante e non  manifestamente
infondata - di attivare tale meccanismo, e, soprattutto,  rivaluti  -
melius re perpensa - l'arresto contenuto nella pronuncia n. 200/2019,
secondo il quale il sistema in  atto  «in  realta'  non  prevede  una
prosecuzione del Commissariamento sine die, ma  consente  il  ritorno
alla gestione ordinaria una volta raggiunti gli obiettivi del piano». 
    A tal fine, si espone quanto appreso. 
    Il combinato disposto dei commi 88 e 88-bis dell'art. 2, legge n.
191/2009  prevede  che  i   programmi   operativi   predisposti   dal
Commissario  nelle   regioni   sottoposte   ai   Piani   di   rientro
costituiscano non solo una prosecuzione ma anche un aggiornamento del
Piano, tenuto conto del  possibile  mutato  quadro  ordinamentale  di
riferimento in termini di finanziamento assicurato dallo Stato  e  di
nuovi obblighi pattizi o legislativi in capo alle regioni:  a  avviso
della regione ricorrente, tale disciplina si pone  in  contrasto  con
parametri costituzionali diretti ed interposti. 
    Come  gia'  sopra  evidenziato,  l'art.  5   della   Costituzione
riconosce  e  promuove  le  autonomie  locali;   l'art.   121   della
Costituzione prevede che il  potere  legislativo  della  regione  sia
esercitato dal Consiglio regionale, e  che  la  rappresentanza  della
regione sia individuata in capo al Presidente  della  Giunta;  l'art.
120, comma 2, della Costituzione, pone come preciso limite al  potere
sostitutivo statale l'esercizio dello stesso secondo  i  principi  di
sussidiarieta' e  di  leale  collaborazione;  anche  per  i  casi  di
urgenza, l'art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003 prevede che venga
sentito sentito l'organo interessato e  che  alla  riunione  del  CdM
partecipi il Presidente della Regione, ed il comma 4  della  medesima
norma quanto meno il coinvolgimento della Conferenza  Stato  regioni,
la quale puo' chiedere il riesame del provvedimento; l'art. 2,  comma
78, legge n. 191/2009 prevede  che  il  Piano  venga  valutato  dalla
struttura tecnica di monitoraggio e dalla Conferenza permanente Stato
regioni: insomma, vista  la  delicatezza  dell'esercizio  del  potere
sostitutivo,   che   altera    in    modo    estremamente    incisivo
l'organizzazione regionale ed i poteri a cio' collegati  dalla  Carta
costituzionale,  l'intero  tessuto   normativo   «costituzionale   ed
ordinario» circonda di particolari garanzie partecipative  l'adozione
degli atti in materia. 
    Per contro,  i  commi  sopra  citati  consentono,  mediante  atto
unilaterale  del  Commissario  «il  Programma   operativo»   sia   la
prosecuzione   che   l'aggiornamento   del   Piano,    senza    alcun
coinvolgimento   della   Regione   commissariata,   e   senza   alcun
coinvolgimento della Conferenza Stato regioni: tale  profilo  non  e'
stato in alcun modo scrutinato da codesta Corte con  la  sentenza  n.
200/2019, e si chiede che venga qui scrutinato, essendo  evidente  la
pervasivita' del meccanismo che consente la mutazione «genetica»  del
Piano di rientro - il Commissario sarebbe incaricato  dell'attuazione
del Piano di rientro dal disavanzo sanitario  previamente  concordato
tra lo Stato e la regione interessata, e  codesta  Corte  ha  a  piu'
riprese sottolineato la vincolativita' dei Piani di  rientro  per  le
regioni  «che  li  abbiano  liberamente  sottoscritti  (ex  plurimis,
sentenza n. 79/2013) - da accordo Stato/regione,  con  coinvolgimento
della Conferenza Stato regioni, ad atto  totalmente  unilaterale  «si
veda, sulla necessita' di forme di coinvolgimento  della  regione  in
ipotesi  di  interventi  in  materia  a  competenza  concorrente,  la
pronuncia di codesta Corte n. 56/2019» in quanto e' ormai  dimostrato
che  in  Calabria  dipende  solo   dal   Commissario   protrarre   il
commissariamento,   mediante   l'adozione   di   ripetuti   Programmi
operativi, che lo stesso Commissario poi non porta a termine,  e  con
lo Stato che utilizza le inadempienze commissariate,  per  perpetuare
ed aggravare la compressione delle competenze regionali,  creando  un
corto circuito istituzionale senza precedenti e di inaudita gravita'. 
    La questione e' rilevante perche',  come  sopra  esposto  sub  3)
attualmente, il Piano di rientro attualmente  vigente,  e  sul  quale
incide la normativa qui impugnata, e' stato appunto prorogato col DCA
57/2020 «che si produce». 
    Che, poi, in concreto, la Stato intenda non  porre  alcun  limite
temporale a  tale  prosecuzione  e/o  aggiornamento  per  la  Regione
Calabria, risultando affidato al  solo  Commissario  protrarre  anche
sine  die  il  Commissariamento,  mediante  l'adozione  di   ripetuti
Programmi  operativi,  e'  dimostrato  non   solo   dal   «riepilogo»
dell'ultradecennale  commissariamento  sopra  descritto,   ma   anche
dall'intero compendio normativo  qui  impugnato,  ed  in  particolare
dall'art. 6, comma  2  -  che  gia'  prefigura  ulteriore  estensione
unilaterale del Piano di rientro, e quindi del commissariamento  -  e
dall'art. 7,  comma  3,  che  consente  l'aggiornamento  del  mandato
commissariale, limitando pero' la «audizione»  del  Presidente  della
Regione ricorrente al solo aggiornamento del mandato commissariale, e
non alla sua ulteriore prosecuzione - sempre  possibile  mediante  il
meccanismo unilaterale sopra indicato - nonche' al solo aggiornamento
in relazione ai compiti affidati al Commissario in forza del Capo  I,
e non ad ogni ulteriore  aggiornamento,  anch'esso  sempre  possibile
mediante il piu' volte indicato meccanismo unilaterale. 
    Si chiede quindi a codesta Corte di voler rimeditare la decisione
assunta nel non dare seguito ad analoga  istanza,  e,  quindi  -  ove
necessario ai fini della decisione, considerando in  particolare  che
l'art. 7, comma 3, consente di aggiornare  il  mandato  commissariale
assegnato con delibera del 19 luglio 2019 anche  con  riferimento  al
Commissario ad acta» - che codesta Corte voglia valutare di sollevare
avanti a se medesima questione  di  l.c.  dell'art.  2,  commi  88  e
88-bis, legge n. 191/2009, per violazione degli articoli 5, 120 e 121
della Costituzione; 8 della legge n. 131/2003 e 2,  comma  78,  della
legge n. 191/2009, nonche' del principio di leale collaborazione  per
come declinato dagli articoli  appena  citati,  nella  parte  in  cui
consentono - senza alcun meccanismo di coinvolgimento  della  regione
e/o della Conferenza Stato regioni  -  di  proseguire  ed  aggiornare
mediante atto unilaterale del Commissario il Piano di rientro  ed  il
correlato  commissariamento,  anche  per  compiti  non  affidati   al
Commissario col  Capo  I  della  decreto-legge  impugnato,  per  come
convertito. 
 
                         Istanza di riunione 
 
    Si chiede che il sig. Presidente voglia consentire la trattazione
del presente ricorso unitamente al  ricorso  n.  105/2020  R.R.  gia'
sopra richiamato, al fine di disporne - ex art. 22 Norme  Integrative
-  la  trattazione  alla  medesima   udienza;   si   chiede   inoltre
espressamente  che  il  sig.  Presidente  valuti,  nei   limiti   del
possibile, una pronta fissazione di entrambi i ricorsi.